Quando si parla di Maura Fabbri, si racconta la storia di una delle pioniere del calcio femminile in Italia, una donna che ha giocato, vinto e aperto strade in un mondo che non era pronto ad accogliere le calciatrici. Vincitrice del primo scudetto femminile con la ACF Genova nel 1968 e della prima Coppa Europa con la Nazionale italiana nel 1969, ha vissuto sulla sua pelle discriminazioni, stereotipi e resistenze, senza mai perdere la passione per il gioco e la determinazione a farlo crescere.
La sua storia è un esempio concreto di come lo sport possa essere uno strumento di resistenza e cambiamento, esattamente in linea con i principi del progetto SIC! Sport, Integrazione, Coesione, che promuove lo sport come spazio di inclusione e lotta alle discriminazioni in 17 città d’Italia assieme a Unar e Lega Serie A. Eventi inclusivi, formazione, una campagne di sensibilizzazione, sono gli strumenti con cui il progetto vuole stimolare un cambiamento nell’approccio alle discriminazioni, che non riguardano solo chi le subisce, ma tutte le persone che vivono lo sport.
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Nonostante questo, nel 1968 nascono i primi campionati di calcio femminile, quello Uisp e quello della Federazione. Fabbri milita in quest’ultimo, vincendo lo scudetto con la ACF Genova. "Sugli spalti dello stadio, come minimo, tutte le partite avevamo 3000 spettatori. E 3000 spettatori paganti ci permettevano di affrontare le spese delle varie trasferte, perché non c'erano fondi e non avevamo sponsor particolari". Una passione condivisa tra compagne di squadra, una sorellanza sportiva che ha saputo resistere alle difficoltà economiche e sociali di un movimento in cerca di legittimazione. "Non avevamo certezze sul futuro, ma avevamo la voglia di esserci, di giocare e di farci riconoscere".
Ma essere una calciatrice significava anche dover conciliare lo sport con la vita lavorativa. "Giocavamo, lavoravamo, viaggiavamo. Le trasferte erano lunghe e i mezzi pochi. Un panino, una bibita e un frutto erano spesso il nostro pranzo tra un viaggio e l’altro". Eppure, nonostante le difficoltà logistiche ed economiche, lo spirito di squadra e la determinazione non venivano mai meno.
Secondo Fabbri, la chiave per abbattere le discriminazioni nello sport sta nell’educazione e nella formazione. "Le società devono insegnare agli allenatori ad essere allenatori. Ad essere allenatori nel contesto generale, nel senso umano, educativo, di integrazione e di rispetto". L’allenatore non deve essere solo un tecnico, ma una guida che trasmette valori, che difende il rispetto e che contrasta la cultura della discriminazione.
Il progetto SIC! Sport, Integrazione, Coesione raccoglie questo messaggio, portando avanti un percorso di sensibilizzazione che vuole abbattere stereotipi e pregiudizi nello sport e nella società. L’esempio di Maura Fabbri è un promemoria di quanto sia stato difficile conquistare ogni spazio e di quanto ancora ci sia da fare per garantire alle donne le stesse opportunità degli uomini nel mondo dello sport. (Fonte: Uisp Genova, interviste a cura di Alessio Semino)
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